La leggenda della Luna Piena.



In una calda notte di luglio di tanto tempo fa un lupo, seduto sulla cima di un monte, ululava a più non posso.

In cielo splendeva una sottile falce di luna che ogni tanto giocava a nascondersi dietro soffici trine di nuvole, o danzava tra esse, armoniosa e lieve.

Gli ululati del lupo erano lunghi, ripetuti, disperati. In breve arrivarono fino all’argentea regina della notte che, alquanto infastidita da tutto quel baccano, gli chiese:

- Cos’hai da urlare tanto? Perché non la smetti almeno per un po’?-

- Ho perso uno dei miei figli, il lupacchiotto più piccolo della mia cucciolata. Sono disperato… aiutami! - rispose il lupo.

La luna, allora, cominciò lentamente a gonfiarsi. E si gonfio, si gonfiò, si gonfiò, fino a diventare una grossa, luminosissima palla.

- Guarda se riesci ora a ritrovare il tuo lupacchiotto - disse, dolcemente partecipe, al lupo in pena.

Il piccolo fu trovato, tremante di freddo e di paura, sull’orlo di un precipizio. Con un gran balzo il padre afferrò il figlio, lo strinse forte forte a sé e, felice ed emozionato, ma non senza aver mille e mille volte ringraziato la luna. Poi sparì tra il folto della vegetazione.

Per premiare la bontà della luna, le fate dei boschi le fecero un bellissimo regalo: ogni trenta giorni può ridiventare tonda, grossa, luminosa, e i cuccioli del mondo intero, alzando nella notte gli occhi al cielo, possono ammirarla in tutto il suo splendore.

I lupi lo sanno… E ululano festosi alla luna piena.

Fonte.



 


 

 


 




 
 

LA LOBA
di Clarissa Pinkola Estés



C'è una vecchia che vive in un luogo nascosto che tutti conoscono ma pochi hanno visto. Come nelle favole dell'Europa Orientale, pare in attesa di chi si è perduto, di vagabondi e cercatori.

È circospetta, spesso pelosa, sempre grassa, e desidera evitare la compagnia. Emette suoni più animaleschi che umani.

Dicono che viva tra putride scarpate di granito nel territorio indiano di Tarahumara. Dicono sia sepolta alla periferia di Phoenix, vicino a un pozzo. Dicono che è stata vista in viaggio verso il Monte Alban (3) su un carro bruciato, con il finestrino posteriore aperto. Sta accanto alla strada poco distante da El Paso, dicono; cavalca impugnando un fucile da caccia insieme ai coltivatori verso Morelia, Messico; l'hanno vista avviarsi al mercato di Oaxaca con strane fascine sulle spalle. Ha molti nomi: La Huersera, La Donna delle Ossa; La Trapera, La Raccoglitrice, La Loba, La Lupa.

L'unica occupazione della Lupa è la raccolta delle ossa. Notoriamente raccoglie e conserva in particolare quelle che corrono il pericolo di andare perdute per il mondo. La sua caverna è piena di ossa delle più varie creature del deserto: il cervo, il crotalo, il corvo. Ma si dice che la sua specialità siano i lupi.

Striscia e setaccia le montagne e i letti prosciugati dei fiumi, alla ricerca di ossa di lupo, e quando ha riunito un intero scheletro, quando l'ultimo osso è al suo posto e la bella scultura bianca della creatura sta davanti a lei, allora siede accanto al fuoco e pensa quale canzone cantare.

E quando è sicura, si leva sulla creatura, solleva su di lei le braccia, e prende a cantare. Allora le costole e le ossa delle gambe cominciano a ricoprirsi di carne e le creature si ricoprono di pelo. La Lupa canta ancora, e quasi tutte le creature tornano in vita, con la coda ispida e forte che si rizza.



E ancora La Loba canta e il lupo comincia a respirare.

E ancora La Loba canta così profondamente che il fondo del deserto si scuote, e mentre lei canta il lupo apre gli occhi, balza in piedi e corre lontano giù per il canyon.



In un momento della corsa, per la velocità della corsa medesima, o perché finisce in un fiume, o perché un raggio di sole o di luna lo colpisce alla schiena, il lupo è d'un tratto trasformato in una donna che ride e corre libera verso l'orizzonte.

Così si dice che se vagate nel deserto, ed è quasi l'ora del tramonto, e vi siete un po' perduti, e siete stanchi, allora siete fortunati, perché forse La Lupa può prendervi in simpatia e mostrarvi qualcosa - qualcosa dell'anima.

Tutti noi cominciamo come un mucchietto di ossa abbandonato da qualche parte in un deserto, uno scheletro smantellato sotto la sabbia. Sta a noi ricuperare le parti. E' un processo impegnativo: meglio affrontarlo quando le ombre sono diritte, perché molto bisogna guardare. La Lupa indica in che cosa dobbiamo cercare la forza vitale indistruttibile, le ossa.

Questo cuento milagro ci mostra che cosa può andar bene per l'anima. E' una storia di resurrezione, sul collegamento sotterraneo con la Donna Selvaggia. Promette che se canteremo la canzone, potremo richiamare i resti psichici dell'anima della Donna Selvaggia e cantarla in una rinnovata forma vitale.



Nel racconto, La Lupa canta sulle ossa che ha riunito. Cantare significa usare la voce dell'anima. Significa dire nel respiro la verità del proprio potere e del proprio bisogno, soffiare l'anima nella cosa che soffre o ha bisogno di reintegrarsi. Si fa discendendo nel più profondo umore dell'amore grande e del sentimento, finché il desiderio di una relazione con l'Io selvaggio straripa, fino a esprimere l'anima da questa struttura mentale. Questo è cantare sulle ossa. Non possiamo commettere l'errore di cercar di scoprire questo grande sentimento di amore da un amante perché questa fatica delle donne di trovare e cantare l'inno della creazione è un lavoro solitario, un lavoro che si svolge nel deserto della psiche.


Consideriamo La Lupa. Il Simbolo della Vecchia è una della personificazioni archetipe più diffuse nel mondo. Altre sono la Grande Madre e il Grande Padre, il Fanciullo Divino, il Briccone, la Strega e lo Stregone, la Fanciulla e il Giovane, la Guerriera-Eroina, e la Pazza e il Pazzo. Eppure nella sua essenza e nel suo effetto La Lupa è ben diversa, perché è la radice che alimenta un intero sistema istintuale.



Nel Sud-est è pure nota come La Que Sabé, Colei che Sa. Di lei sentii parlare per la prima volta quando vivevo nelle montagne del Sangre de Cristo, nel Nuovo Messico, sotto il cuore del Lobo Peak. Una vecchia strega dei Ranchos mi disse che La Que Sabé sapeva tutto sulle donne, le aveva create da una piega sulla pianta del suo piede divino. Ecco perché le donne sono creature che sanno; sono fatte della pelle della pianta del piede, che sente tutto. Quest'idea della pelle del piede sensibile suonava vera, perché una donna acculturata della tribù Kiché mi disse una volta che aveva indossato il primo paio di scarpe a vent'anni, e ancora non si era abituata a camminare con los ojos vendados, con gli occhi bendati.



Questa Donna-Lupa, questa Donna Selvaggia che vive nel deserto, è stata chiamata con molti nomi e attraversa in lungo e in largo tutte le nazioni nei secoli dei secoli. Ecco alcuni dei suoi antichi nomi: La Madre dei Giorni è la Madre-Creatore-Dio di tutti gli esseri e gli eventi, compresi il cielo e la terra; Madre Nyx domina su tutte le cose che vengono dal fango e dall'oscurità; Durga controlla i cieli e i venti e i pensieri degli esseri umani da cui emana ogni realtà; Coatlique dà vita all'universo infante che è furfantesco e difficile da controllare, ma come una madre lupa morde l'orecchio del cucciolo per trattenerlo; Ecate, la vecchia veggente che “conosce la sua gente” e ha in sé l'odore dell'humus e il respiro di Dio. E ce ne sono molte altre ancora. Sono le immagini di chi e che cosa vive sotto la collina, lontano nel deserto, nelle profondità.


Nei miti e con qualunque nome, La Loba conosce il passato personale e l'antico, perché è sopravvissuta generazione dopo generazione, ed è vecchia al di là del tempo. E' l'archivista della concezione femminile. Conserva la tradizione femminile. Le sue vibrisse sentono il futuro; ha l'occhio latteo lungimirante della vecchia rugosa; vive simultaneamente indietro e avanti nel tempo, ne corregge uno danzando con l'altro.



La Loba, la vecchia, Colei che Sa, è dentro di noi. Fiorisce nel più profondo della psiche-anima delle donne, l'antica e vitale Donna Selvaggia. La storia ne descrive la casa come quel posto nel tempo in cui lo spirito delle donne e lo spirito della lupa si incontrano, il posto in cui la sua mente e i suoi istinti si mescolano dove la vita profonda della donna fonda la sua vita mondana. E il punto in cui l'Io e il Tu si baciano, il luogo in cui le donne corrono con i lupi.

Questa vecchia sta tra il mondo della razionalizzazione e quello dei miti. E' la falange su cui questi due mondi girano. Questo territorio tra i due mondi è quel luogo inesplicabile che noi tutti riconosciamo quando l'abbiamo sperimentato, ma le sue sfumature sfuggono e cambiano di forma se cerchiamo di fissarle con uno spillo, almeno quando non ricorriamo alla poesia, alla musica, alla danza... o alle storie.

Si specula sulla probabilità che il sistema immunitario dell'organismo sia radicato in questo misterioso territorio psichico, anche quello mistico, insieme alle immagini archetipe e ai bisogni, compresa la fame di Dio, il nostro struggimento per i misteri, e tutti gli istinti sacri e profani. Alcuni direbbero che sono qui anche la documentazione sull'umanità, la radice della luce, le spire dell'oscurità. Non è un vuoto ma piuttosto il posto degli Esseri di Bruma, dove le cose sono eppure ancora non sono, dove le ombre hanno una sostanza e la sostanza è sottile.



Di questo territorio una cosa è certa: è antico... più antico degli oceani. Come La Loba, non ha età. L'archetipo della Donna Selvaggia fonda questo strato, emana la psiche istintuale. Se può assumere vari aspetti nei nostri sogni e nelle esperienze creative, non viene dallo strato della madre, della fanciulla, della donna mediale, e non è il fanciullino che è in noi. Chiamatela La Que Sabé, chiamatela la Donna Selvaggia, chiamatela La Loba, o con gli altri suoi nomi nobili o oscuri, con i suoi nomi più recenti con gli antichi nomi: lei resta quel che è.


La Donna Selvaggia in quanto archetipo è una forza ineffabile indomita che porta un dono di idee, immagini e particolarità all'umanità. L'archetipo esiste ovunque, e tuttavia non si può vedere nel senso usuale. Quel che di esso si può vedere nell'oscurità non è visibile nella luce del giorno.



Troviamo una prova costante dell'archetipo nelle immagini nei simboli delle storie, della letteratura, della poesia, della pittura e della religione. Si direbbe che il suo splendore, la sua voce la sua fragranza hanno il fine di farci levare lo sguardo dalla merda che abbiamo sulla coda per viaggiare occasionalmente in compagnia delle stelle.

Nel posto della Lupa, il corpo fisico è, come scrive il poeta Tony Moffeir, "un animale luminoso", (4) e il sistema immunitario pare rafforzato o indebolito dal pensiero consapevole. Nel posto della Lupa, gli spiriti si manifestano come personaggi, e La Voce Mitologica della psiche profonda parla come poeta e come oracolo. Le cose di valore psichico, se morte, possono essere resuscitate. Inoltre, il materiale di base di tutte le storie esistenti nel mondo cominciò con l'esperienza di qualcuno qui, nell'inesplicabile territorio psichico, e con il tentativo di qualcuno di raccontare quanto gli è accaduto.


Ci sono vari nomi per questo luogo tra i mondi. Jung variamente lo chiamava l'inconscio collettivo, la psiche oggettiva, l'inconscio psicoide (con riferimento a uno strato più ineffabile del precedente). Considerava l'inconscio psicoide un luogo in cui il mondo biologico e quello psicologico spartiscono i corsi superiori delle acque, dove biologia e psicologia potrebbero mescolarsi e influenzarsi reciprocamente. Nella memoria umana questo luogo, che lo si chiami Nod, la dimora degli Esseri di Bruma o la spaccatura tra i mondi, è il luogo delle visitazioni, dei miracoli, delle fantasie, delle ispirazioni e delle guarigioni.



Sebbene il luogo trasmetta grande ricchezza psichica, va avvicinato con una certa preparazione, poiché si può cedere alla tentazione di naufragare gioiosamente nell'estasi del proprio tempo qual è là. A paragone la realtà consensuale può apparire meno eccitante. In tal senso, questi strati più profondi della psiche diventano una trappola dell'estasi da cui si torna vacillanti, con idee vaghe e vaghi presentimenti. Non va inteso così. Si dovrebbe ritornare completamente purificati e immersi in un'acqua vivificante e informante, qualcosa che imprime sulla nostra carne il profumo del sacro.

Ogni donna ha potenzialmente accesso al Rio Abajo Rio, il fiume che scorre sotto al fiume. Vi arriva con la meditazione profonda, la danza, la scrittura, la pittura, la preghiera, il canto, il suono del tamburo, l'immaginazione attiva o qualsiasi attività richieda un'intensa consapevolezza alterata. La donna arriva a questo mondo-tra-i-mondi con il desiderio struggente, e cercando qualcosa che può vedere appena con la coda dell'occhio. Vi arriva con atti profondamente creativi, con la solitudine intenzionale, con la pratica delle arti. E anche con queste pratiche elaborate molto di quanto accade in questo mondo ineffabile resta per sempre misterioso, perché spezza le leggi fisiche e razionali quali noi le conosciamo.

(3) Vecchio Messico.
(4) Dalla raccolta "Luminous Animal" del poeta-blues Tony Moffeit (Cherry Valley Editions, New York 1989).

Fonte.

  

 



 

La leggenda della Luna Piena.



In una calda notte di luglio di tanto tempo fa un lupo, seduto sulla cima di un monte, ululava a più non posso.

In cielo splendeva una sottile falce di luna che ogni tanto giocava a nascondersi dietro soffici trine di nuvole, o danzava tra esse, armoniosa e lieve.

Gli ululati del lupo erano lunghi, ripetuti, disperati. In breve arrivarono fino all’argentea regina della notte che, alquanto infastidita da tutto quel baccano, gli chiese:

- Cos’hai da urlare tanto? Perché non la smetti almeno per un po’?-

- Ho perso uno dei miei figli, il lupacchiotto più piccolo della mia cucciolata. Sono disperato… aiutami! - rispose il lupo.

La luna, allora, cominciò lentamente a gonfiarsi. E si gonfio, si gonfiò, si gonfiò, fino a diventare una grossa, luminosissima palla.

- Guarda se riesci ora a ritrovare il tuo lupacchiotto - disse, dolcemente partecipe, al lupo in pena.

Il piccolo fu trovato, tremante di freddo e di paura, sull’orlo di un precipizio. Con un gran balzo il padre afferrò il figlio, lo strinse forte forte a sé e, felice ed emozionato, ma non senza aver mille e mille volte ringraziato la luna. Poi sparì tra il folto della vegetazione.

Per premiare la bontà della luna, le fate dei boschi le fecero un bellissimo regalo: ogni trenta giorni può ridiventare tonda, grossa, luminosa, e i cuccioli del mondo intero, alzando nella notte gli occhi al cielo, possono ammirarla in tutto il suo splendore.

I lupi lo sanno… E ululano festosi alla luna piena.

Fonte.



 

 



 

La regina delle api.



C'era una volta una coppia che desiderava ardentemente un figlio ma non riusciva ad averne. Un giorno il marito andò in un campo a tagliare del bambù. All'improvviso udì una vocina che lo implorava di non fargli del male. Dove sei?, chiese l'uomo. In questa canna!, rispose la vocina. L'uomo aprì la canna di bambù e trovò un bambino piccolissimo, con il volto da ranocchio. Lo portò a casa e con la moglie si affezionarono subito al bambino, anche se non era molto bello. Lo chiamarono Bambù.
Passarono gli anni e Bambù crebbe. Diventò un bravissimo ragazzo che aiutava il padre nel lavoro. Un giorno, il giorno del suo diciottesimo compleanno, i genitori gli diedero un abito e una spada e lo mandarono al mercato a vendere il riso e a comprare delle stoffe. Bambù attraversò la foresta ed ad un tratto si accorse di essere seguito. Gli si parò di fronte un leone affamato. Bambù gli disse: Non ho niente da darti, oggi. Ripassa domani. Ma il leone gli rispose: Ma io so già cosa mangiare: tu! Allora Bambù gli disse: Vattene via, altrimenti ti infilzerò con la mia spada! Il leone, intimorito, scappò via.
Bambù era quasi uscito dalla foresta, quando incontrò un'ape che gli chiese di salvare la sua regina. La regina era una bellissima ragazza, piccolissima, con due ali argentate, che era rimasta impigliata in una ragnatela. Bambù la salvò, ed allora la regina gli regalò tre semi di melone. Questi semi ti aiuteranno a realizzare quello che vuoi. Basterà che tu lo desideri!
Bambù andò al mercato e concluse i suoi affari. Poi tornò verso casa ed attraversando la foresta rincontrò il leone, ancora più feroce ed affamato. Bambù desiderò di ucciderlo con la spada di suo padre, ed ecco che di colpo riuscì a farlo. Un seme di melone era svanito nel frattempo dalla sua tasca.
Bambù scoprì che i semi erano prodigiosi. Ascoltò il suo cuore e desiderò di essere un bel giovane e di rivedere la regina delle api. I due semi sparirono e Bambù diventò un bellissimo ragazzo: di fronte a lui giunse la regina delle api, che ingrandì fino a diventare una vera ragazza. I due tornarono a casa, si sposarono e vissero felici e contenti.

Fonte.


 



 

La leggenda dell'aurora.



Molto tempo fa in questo paese era buio fitto. Gli abitanti, tennero un'assemblea e decisero che occorreva una persona che fosse veloce a correre.: Scelsero Ghiandaia Azzurra.
Esso, si mise subito in moto in direzione di levante e finalmente giunse in una capanna di terra in un villaggio molto abitato a giudicare dalla quantità di capanne, ma nessuno in realtà era li, perché se ne erano andati ad una festa non molto distante. Entrato nella capanna trovò un bambino.. Ghiandaia Azzurra chiese al bambino:
"Dove sono andati?'".
Il ragazzo rispose:
"Sono andati via":
Nella capanna c'erano delle ceste di provviste contro la parete: Ghiandaia Azzurra indicò la prima cesta che vide li vicino e chiese:
"Che c'è in quella cesta?".
Il bambino rispose:
"Prima sera".
Poi indicò la cesta accanto dicendo:
"Che c'è in quella cesta?".
E il ragazzo rispose:
"Appena buio".
Le domande alternate dalle risposte si susseguirono, fino all’ ultima::
"Che c'è in quella cesta?".
Il fanciullo rispose:
"Aurora".
Allora Ghiandaia Azzurra afferrò lesto la cesta e se ne scappò di corsa!
Il bambino cominciò a gridare:
"Ci hanno rubato l'Aurora!".
La gente non fece caso alle urla del bambino poco distante, e continuarono a danzare.. Finalmente l’ attenzione di un abitante cadde sulle urla e disse:
"Il ragazzo grida che hanno rubato l'Aurora".
Tutti accorsero allora alla capanna e, spiegato l’ accaduto si misero presto ad inseguire Ghiandaia Azzurra verso ponente.
Egli andava verso ponente, sempre verso ponente.
Vicino alla Grande Valle lo raggiunsero.
Stavano per prenderlo; eran proprio sul punto di farcela, quando egli aprì la cesta e la luce volò fuori.

Aquila Grigia.

Fonte.



 




 

Il re degli uccelli.



C'erano una volta degli uccelli che decisero che dovevano proclamare un re. Si riunirono e decisero che il loro re sarebbe stato il più saggio tra loro, il gufo. Il corvo arrivò in ritardo alla riunione, e disse, astioso: Come mai avete scelto un vecchio barbogio come re? Dovreste sapere che quello che ci difende di più è spesso la furbizia: vi ricordate la storia dell'airone e del granchio?
Gli altri uccelli non si ricordavano, e quindi il corvo cominciò a raccontare: C'era una volta un vecchio airone che non riusciva più ad acchiappare pesci. Decise allora di ricorrere all'astuzia: si mise al centro del lago vicino a dove viveva e scoppiò a piangere. I pesci gli chiesero cosa ci fosse e lui rispose di aver sentito alcuni umani dire che avrebbero prosciugato il lago e sarebbero morti tutti loro pesci. Disse però che si offriva di salvarli, trasportandoli nel becco in un lago vicino. I pesci acconsentirono, e l'airone iniziò a prenderne uno per volta nel becco, spiccando un volo e mangiandoseli tranquillamente poco lontano. Un granchio capì tutto e chiese all'airone di salvarlo: ma in realtà gli saltò al collo e lo morsicò finché l'airone mollò la presa. Così i pesci e gli altri animali dello stagno furono salvi.
Gli uccelli rumoreggiarono: il corvo in fondo aveva ragione! Ma il gufo gli disse: Loro però mi hanno eletto concordemente... D'accordo, rispose il corvo, ma non è detto che l'opinione della maggioranza sia la migliore: la sai la storia del capretto e del saggio? Tutti gli uccelli vollero sentirla. Il corvo incominciò:
C'era una volta un saggio che aveva ricevuto in dono un capretto da un contadino: se lo caricò sulle spalle e si avviò verso casa. Ad un tratto incontrò tre briganti che cominciarono a dirgli: Guarda quel sant'uomo che va in giro con un animale disgustoso e sporco sulla schiena! Il saggio sbalordito riesaminò il capretto: era proprio un capretto! Lo riprese sulle spalle ed i tre briganti continuarono a dire: Guarda, ha un maiale sporchissimo e puzzolente sulle spalle! Il saggio non sapeva più cosa pensare e pensò che un qualche spirito maligno gli avesse oscurato la vista. Per questo motivo lasciò cadere per terra il capretto e fuggì via. I briganti poterono rubarglielo e mangiarselo.
Il gufo si offese tantissimo e volò via; gli altri uccelli e il corvo decisero che si stava benissimo anche senza eleggere un re.

Copyright © by Il Crepuscolo degli Dèi.





 

La creazione degli animali.



C'era una volta Napi, che era l'aiutante del Sole: il Sole riscaldava la Terra mentre Napi faceva tutti i lavori di manutenzione. Un giorno Napi aveva terminato presto i suoi lavori, e dato che non era abituato a tenere le mani ferme, prese un blocco di argilla e cominciò a modellare con un blocco di argilla...
Una dopo l'altra fece le figurine di tutti gli animali della Terra. Era molto soddisfatto del suo lavoro: soffiò sopra ogni figurina, dando a ciascun animale un nome e un luogo da popolare sulla Terra.
Era rimasto un piccolo blocchetto di argilla. Napi lo pasticciò un po', poi fece un'altra figurina e disse: Ti chiamerai uomo, ed abiterai tra i lupi. Napi tornò al suo lavoro, ma un giorno arrivarono gli animali a protestare: il bisonte non riusciva a vivere in montagna perché era troppo ripida, le capre della prateria non amavano vivere nell'acqua, la tigre non si adattava vicino al mare e così via. Allora Napi ridiede a tutti nuove abitazioni, e questa volta furono tutti soddisfatti. Tutti, tranne l'uomo, che vaga dappertutto per trovare un luogo che lo soddisfi.

Copyright © by Il Crepuscolo degli Dèi.


 




 

LA SAGGEZZA DELLA VECCHIAIA.



Anziano Osage Fra le virtù più importanti di un essere umano, una delle più rispettate fra gli Indiani era senza dubbio la saggezza. Era una delle doti richieste ai capi, insieme con l'autocontrollo, la generosità, il coraggio e l'audacia. Ma fra tutte era anche la meno "dimostrabile".
Un uomo era ritenuto saggio quando era capace di dispensare validi consigli al prossimo, quando infondeva fiducia ai guerrieri prima di una spedizione di guerra, quando riusciva a trovare mediazioni durante le liti tra i membri della comunità, quando aveva una conoscenza superiore delle tradizioni della tribù, delle forze della natura e del regno degli Spiriti. Gli anziani della comunità erano i custodi di tutte le tradizioni, dei canti, delle storie, dei miti e per questo erano ascoltati e venerati.
Dato che tutto veniva tramandato oralmente, un anziano era, forzando un po' il paragone, ciò che per noi è una biblioteca: il ricettacolo del sapere della società. E il suo compito era trasmettere ai giovani tutta la sua conoscenza affinché la tradizione, e quindi la tribù stessa, potesse sopravvivere.
Il tentativo costante all'interno della cultura indiana di raggiungere "l'armonia" si rivela anche quì: da un lato i giovani erano educati e costantemente sollecitati a trattare con rispetto gli anziani, dall'altro questi ultimi avvertivano come naturale cedere il loro potere alle generazioni successive e le preparavano al meglio per questo compito.
Gli anziani sapevano così di non essere inutili, anzi di avere un ruolo importante, un lavoro essenziale per il presente e il futuro della tribù. E i giovani non li consideravano un peso morto o, peggio ancora, un ostacolo per la conquista di un loro ruolo nella comunità.
Un'altra dimostrazione di saggezza per gli Indiani era quella espressa nella vita di un individuo che impiega tutte le energie per il bene del prossimo, anche a costo di negare completamente se stesso.
E chi più di un anziano poteva essere nella serena condizione di avere già una lunga vita alle spalle e desiderare di spendere quella che restava per il bene della comunità? In questa ottica e con una visione profondamente spirituale di tutte le cose, compresa la morte, si spiega perchè molti anziani, troppo ammalati o non più in grado di badare a se stessi, scegliessero di allontanarsi dalla tribù per andare a morire in solitudine.


"Tra i genitori e figli c'era un solido rapporto, che aveva le sue basi nei sistemi educativi con cui i ragazzi venivano cresciuti. Infatti, anche da adulti, noi Sioux avevamo un profondo rispetto nei confronti dei nostri padri e delle nostre madri. Non li abbiamo abbandonati mai, anzi era una gioia occuparci di loro quando erano vecchi, ricambiando così tutto l'amore che ci avevano dato quando eravamo bambini. Provvedere agli anziani perciò era per noi una gioia, non certo un dovere"

Orso In Piedi.

Dal Web.


La creazione dell'Uomo.

In una notte scura e stellata, un gruppo di Pellerossa stava accovacciato intorno ad un falò. Improvvisamente il guerriero più anziano si alzò in piedi. Il suo volto era vecchio e bruno come la terra e portava sulle spalle una coperta dai vivaci colori. Cominciò a narrare la storia dell’inizio del mondo…


Quando Coyote, il cane del deserto, teminò di creare il mondo, prese il vento, che era fatto a forma di conchiglia, e rovesciandolo, formò il cielo. Dispensò vivaci colori ai cinque angoli del mondo e un arcobaleno si alzò nel cielo a dividere la notte dal giorno.

Poi si accucciò, ululò e il sole e la luna cominciarono a muoversi nel cielo.
Coyote riempì le pianure di alberi e di stagni e di montagne e di fiumi e fece tutti gli animali.
“Per ultimo e come cosa migliore farò l’Uomo” mormorò a mezza voce.

Gli animali lo udirono e vollero aiutarlo. Così si sedettero tutti in circolo nella foresta; Coyote, l’Orso Grigio, il Leone, l’Orso Biondo, il Cervo, la Pecora, il Castoro, il Gufo e il Topo.

“Puoi fare Uomo della forma che più ti piace” disse il Leone, “ma io credo che dovrebbe avere denti aguzzi per masticare la carne e anche delle lunghe zampe.” “Come le tue?” chiese Coyote. “Beh, sì, come le mie”, rispose Leone. “Avrà bisogno anche di una pelliccia e di una voce forte e potente.” “Come la tua?” chiede di nuovo Coyote. “Come la mia”, rispose Leone.

“Nessuno vuole una voce come la tua” interruppe Orso Grigio. “Tu fai scappare tutti. Uomo deve poter camminare sulle zampe di dietro, deve poter afferrare gli oggetti con quelle davanti e stringerli fino a schiacciarli.” “Come fai tu?” chiese Coyote. “Beh, sì, come faccio io.” Replicò Orso Grigio.

Cervo tremò nervosamente e gettando timide occhiate al di sopra della spalla disse: “Cos’è tutto questo parlare di divorare carne e di distruggere le cose? Non è bello. Uomo deve poter sentire quando è in pericolo e scappar via velocemente. Dovrebbe avere orecchie come conchiglie marine per poter sentire ogni più piccolo suono, e occhi come la Luna, che vede tutto; e naturalmente corna ramificate; avrà assoluto bisogno di corna.” “Come le tue?” chiese Coyote. “Beh, sì, come le mie” rispose Cervo.

“Come le tue?” schernì Pecora.”Ma a che servono le corna ramificate? Aggeggi appuntiti che si impigliano in tutti i rami e cespugli! Come farebbe a dare cornate? Ma se invece avesse due cornini ai lati della testa….” “Come i tuoi?” chiese Coyote. Pecora, offesa, tirò su col naso. Non le piaceva essere interrotta. Allora saltò su Castoro e disse: “Vi state dimenticando della cosa più importante: la coda di Uomo. Code lunghe e sottili possono andare bene per scacciare le mosche, credo. Ma Uomo deve avere una coda larga e piatta. Come farebbe a costruire dighe nel fiume?” “Come le tue?” chiese Coyote. “Nessuno sa fare dighe come le mie” disse Castoro con superbia.

“Sentite me” squittì Topo. “L’Uomo che volete fare è troppo grande. Fareste meglio a farlo piccolo.”

“Tutti matti siete!” gridò Gufo. “E le ali? Non ci avete pensato alle ali? Se volete che Uomo sia il migliore degli animali, deve poter volare. Deve avere le ali!” “Come le tue?” chiese Coyote. « Ma è tutto quello che sai dire ? » si lamentò Gufo. “Non hai idee tue?”

Coyote balzò in piedi e avanzò al centro del cerchio. “Stupidi animali. Non so proprio a cosa stessi pensando quando vi ho fatto. Volete tutti che Uomo sia esattamente come voi!”

“Immagino che invece vorresti che fosse come te, vero Coyote?” ringhiò Orso Biondo.
“E come faremmo allora a distinguerci?” replicò Coyote. “Tutti potrebbero indicarmi e dire: “Ecco Uomo.” E poi indicherebbero Uomo e direbbero: “Ecco Coyote! No, no, no, Uomo deve essere differente.”

“Ma con le ali!” gridò Gufo.
“E corna ramificate!” bramì Cervo.
“E dei bei cornini!” belò Pecora.
“E deve avere una vociona!” tuonò Orso Grigio.
“E deve essere piccino!” squittì Topo.
“E non senza coda!” aggiunse Castoro.

Ma nessuno lo udì. Tutti erano troppo occupati a litigare. Mordendo e caricando, gli animali lottarono nella foresta mentre Coyote stava a guardare scuotendo la testa.

Peli e piume, unghie e pezzi di corna volavano tutt’intorno. Coyote li raccattò, li mise di nuovo insieme e creò altri animali ancora, come Cammello e Giraffa.

Presto tutti gli animali giacquero in un ammasso confuso, troppo stanchi per continuare a combattere.
“Mi pare che ora riuscirò a trovare la risposta”, disse infine Coyote.
Gli animali lo guardarono di sottecchi e alcuni gli ringhiarono contro.

Ma Coyote parlò ugualmente.
“Orso aveva ragione dicendo che Uomo dovrebbe camminare sulle gambe di dietro. Così potrà salire sugli alberi. E Cervo era nel giusto dicendo che dovrebbe avere udito fine e vista acuta. Ma se Uomo avesse ali, cozzerebbe la testa contro il Cielo. L’unica parte simile ad un uccello di cui ha bisogno sono le lunghe estremità dell’Aquila. Credo che le chiamerò dita. E Leone aveva ragione dicendo che Uomo dovrebbe avere la voce forte. Ma ha anche bisogno di una vocina per non spaventare troppo. Uomo dovrebbe essere liscio come Pesce, che non ha peli che gli facciano caldo. Ma la cosa più importante di tutte, disse Coyote infine, è che Uomo deve essere più intelligente e furbo di tutti voi!”
“Come te”, borbottarono tutti gli animali. “Beh, sì, grazie”, rispose Coyote, “Come me.”

Ci fu un gran rimescolìo fra gli animali, ringhi irati e sibili e poi tutti insieme gridarono. “Siediti Coyote! Le tue stupide idee non ci piacciono!” “Bene”, disse Coyote pazientemente. “Facciamo una gara.
Ognuno di noi farà un modello di Uomo col fango. Domani esamineremo tutti i modelli e decideremo qual’è il migliore.”

Tutti gli animali corsero via a cercare dell’acqua per fare il fango. Gufo fece un modello con le ali. Cervo ne fece un altro con lunghe corna e grandi occhi. Il modello di Castoro aveva la coda larga e piatta. Topo fece un modello piccolino.
Ma Coyote fece l’Uomo.

Il sole tramontò prima che essi riuscissero a finire i loro modelli. Così si accoccolarono nel folto della foresta per dormire.
Tutti eccetto Coyote.

Egli prese l’acqua dal fiume e la versò su tutti gli altri modelli. La coda di fango di Castoro venne spazzata via. Le corna di fango di Cervo vennero spazzate via. Le ali di fango di Gufo vennero spazzate via.

Coyote soffiò la vita nel naso del suo modello di Uomo fatto di fango e quando gli altri animali si svegliarono, trovarono un nuovo animale nella foresta.
Il suo nome era Uomo.”


Dopo aver pronunciato queste parole, il vecchio guerriero si sedette, avvolgendo la coperta intorno a sé.
Mentre il fulgore del fuoco si spegneva, sedette, silenzioso come la terra stessa, fissando l’oscurità.

E in lontananza risuonava il grido del coyote.

Dal Web.





Il Corvo.

Nei giorni lontani, quando la terra e la gente su di essa erano state create da poco, tutti i corvi erano bianchi come la neve.
In quei tempi antichi la gente non aveva né cavalli, né armi da fuoco, né armi di ferro.
Tuttavia si procurava cibo a sufficienza per sopravvivere cacciando il bisonte.
Ma cacciare i grossi bisonti a piedi con armi che avevano punte in pietra era difficile e pericoloso.
I corvi rendevano le cose ancora più difficili per i cacciatori perché erano amici dei bisonti.
Librati alti nell'aria, vedevano tutto quello che succedeva nella prateria.
Ogni volta che notavano dei cacciatori avvicinarsi ad una mandria di bisonti, volavano dai loro amici e, appollaiati tra le loro corna, davano l'allarme:
« Cra, cra, cra, cugini, stanno venendo dei cacciatori. Stanno avanzando furtivamente attraverso quella gola laggiù. Stanno salendo dietro quella collina. State attenti! Cra, cra, cra! »
Allora, i bisonti fuggivano in disordine, e la gente pativa la fame.
La gente tenne un consiglio per decidere che cosa fare.
Ebbene, tra i corvi ce n'era uno veramente enorme, due volte più grosso di tutti gli altri.
Quel corvo era la loro guida.
Un vecchio e saggio capo si alzò e diede questo suggerimento:
« Dobbiamo catturare il grosso corvo bianco », disse, « e dargli una lezione. O farlo o continuare a patire la fame ».
Portò fuori una grande pelle di bisonte, con la testa e le corna ancora attaccate.
La mise sulla schiena di un giovane coraggioso, e disse:
« Nipote, vai tra i bisonti. Penseranno che tu sia uno di loro, e potrai catturare il grosso corvo bianco ».
Travestitoto da bisonte, il giovane strisciò tra la mandria come se stesse pascolando.
Le grosse bestie pelose non gli prestarono alcuna attenzione.
Allora i cacciatori uscirono dall'accampamento dietro di lui, con gli archi pronti.
Come si avvicinarono alla mandria, i corvi arrivarono volando, come al solito, dando l'allarme ai bisonti:
« Cra, cra, cra, cugini, i cacciatori arrivano per uccidervi. Fate attenzione alle loro frecce. Cra, cra, cra! »
e come al solito tutti i bisonti fuggirono via in disordine: tutti, cioè, eccetto il giovane cacciatore camuffato sotto la sua pelle pelosa, il quale faceva finta di continuare a pascolare come prima.
Allora il grosso corvo bianco venne giù planando, si appollaiò sulle spalle del cacciatore e sbattendo le ali disse:
« Cra, cra, cra, fratello, sei sordo? I cacciatori sono vicini, appena sopra la collina. Mettiti in salvo! ».
Ma il giovane coraggioso si allungò da sotto la pelle di bisonte ed afferrò il corvo per le zampe.
Con una corda di pelle grezza legò le zampe del grosso uccello ed allacciò l'altro capo ad una pietra.
Per quanto si dibattesse, il corvo non poté fuggire.
La gente sedette nuovamente in consiglio.
« Cosa ne dovremo fare di questo grosso uccello cattivo, che ci ha fatto soffrire cento volte la fame? ».
« Lo brucerò all'istante! »
rispose un cacciatore arrabbiato, e prima che qualcuno potesse fermarlo, tirò via con uno strattone il corvo dalle mani di quello che l'aveva catturato e lo ficcò nel fuoco del consiglio, corda, pietra e tutto quanto.
« Questo ti servirà da lezione », disse.
Naturalmente, la corda che teneva la pietra bruciò quasi subito, ed il grosso corvo riuscì a volar via dal fuoco.
Ma era bruciacchiato, ed alcune delle sue penne erano carbonizzate.
Benché fosse ancora grosso, non era più bianco.
« Cra, cra, cra », gridò, volando via più velocemente che poté. « Non lo farò mai più; non darò più l'allarme ai bisonti, e così farà tutta la nazione dei Corvi. Lo prometto! Cra, cra, cra ».
Così il corvo fuggì. Ma da allora tutti i corvi furono neri.

Raccontata da Buon Buffalo Bianco a Winner, Riserva Indiana di Rosebud, Sud Dakota, 1964. Registrata da Richard Erdoes.


FONTE : Miti e leggende degli indiani d'america